Le dimissioni volontarie, in Italia come nel resto del mondo occidentale, sono un fenomeno più diffuso di quanto si possa immaginare. Siamo abituati a leggere ogni giorno di difficoltà sul fronte occupazionale, ad apprendere storie di chi vorrebbe lavorare ma non ce la fa. Eppure, un numero crescente di lavoratori decide di abbandonare l’azienda o l’ente presso cui lavora, magari per cercare altro, magari per godere di un prolungato periodo di riposo.
La questione è abbastanza complessa, in quanto le dimissioni volontarie sono pesantemente normate. Lo scopo del legislatore è da un lato garantire al lavoratore uno strumento di libertà, e dall’altro tutelare il datore di lavoro che, in caso di dimissioni, si ritroverebbe con una risorsa in meno.
Ne parliamo qui, ponendo come riferimento i contenuti che, a riguardo, ha pubblicato il sito Posizioni Aperte, da sempre punto di riferimento per chi vuole informarsi sul mondo del lavoro e sulle normative.
Dimissioni volontarie, cosa dice la normativa
La legge riconosce al lavoratore il diritto di rinunciare al posto di lavoro. Tale diritto è disciplinato in maniera stringente in quanto è soggetto al rispetto di alcune procedure. Soprattutto, è vincolato al concetto di preavviso. Insomma, il datore di lavoro dev’essere avvisato ufficialmente parecchi giorni prima dell’effettivo abbandono. Quanti nello specifico? Dipende dal tipo di lavoro e dall’inquadramento. Si va da un minimo di 10 giorni a un massimo di 120. Approfondiremo questo aspetto nel prossimo paragrafo.
In questo, operiamo una distinzione tra le varie tipologie di dimissioni. E’ una questione fondamentale, in quanto da esse dipendono oneri e diritti successivi all’abbandono del posto di lavoro.
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Dimissioni volontarie propriamente dette. Sono le dimissioni che il lavoratore presenta per sua libera scelta. In genere, non danno accesso al programma NASPI. Insomma, non garantiscono il diritto all’indennità di disoccupazione. Il datore di lavoro non si può opporre in alcun modo, se non con la moral suasion.
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Dimissioni per giusta causa. Sono dimissioni sì volontarie, ma anche motivate da un evento grave, che può corrispondere al mancato pagamento dello stipendio, a un comportamento ingiurioso o addirittura violento da parte di colleghi e datori di lavoro, al mancato versamento di contributi etc. In questo caso, il dimissionario ha diritto all’indennità di disoccupazione. In linea teorica il datore di lavoro può opporsi, o per meglio dire può contestare formalmente la sussistenza della giusta causa.
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Risoluzione consensuale. E’ una forma di dimissioni che prevede un accordo tra lavoratore e datore di lavoro. La procedura è leggermente diversa, ma gli effetti sono gli stessi delle dimissioni volontarie.
Dimissioni volontarie, a quanto ammonta il preavviso?
Prima di parlare più dettagliatamente del preavviso, è bene fare una precisione. Le dimissioni per giusta causa sono sempre possibili, quelle volontarie (in senso stretto) no.
Le dimissioni volontarie sono vietate, in particolare, se il lavoratore ha stipulato un contratto che prevede un periodo di prova o è comunque a tempo determinato.
Semaforo giallo, invece, per le dimissioni volontarie presentate durante il periodo di gravidanza e maternità. In questo caso, sono vincolate al parere dell’ispettorato. Lo scopo del legislatore è semplice: prevenire gli abusi da parte del datore di lavoro che potrebbero, di fatto, costringere le future mamme e le neo-mamme alle dimissioni, in modo da ottenere un risparmio indebito.
Veniamo ora alla questione dei giorni di preavviso. Ebbene, trovate una tabella molto dettagliata sul contenuto di Posizioni Aperte riservato all’argomento.
Qui possiamo affermare che il numero dei giorni è direttamente proporzionale agli anni di servizio e inversamente proporzionale al livello. Anche in questo caso l’intento del legislatore è evidente, benché a favore del datore di lavoro. Il principio che sta alla base suggerisce una maggiore importanza, nell’organigramma e nel processo di produzione/erogazione dei servizi, dei lavoratori con esperienza e che ricoprono ruoli di peso. Questi sono più difficili da rimpiazzare, e quindi le loro dimissioni sono vincolate a un periodo di preavviso più lungo.
Qualche consiglio per gestire al meglio le dimissioni
Gestire le proprie dimissioni non è facile, né dal punto di vista emotivo né dal punto di vista tecnico-burocratico. Il consiglio è di riservarsi più tempo possibile per la decisione definitiva. Soprattutto, di informarsi su diritti e doveri.
Il rischio, infatti, è di scoprire all’ultimo che le dimissioni, nel proprio caso specifico, sono vietate e quindi rovinare inutilmente il rapporto con colleghi e datori di lavoro. Un altro rischio è quello di procedere con scarso preavviso, e quindi andare incontro a problematiche di tipo legale.
In generale, è consigliato un approccio soft, che punta al dialogo, che guarda alle dimissioni non già come una rivalsa, bensì come a una scelta libera.