di Matteo Corsini da L’Indipendenza “Il dramma della spesa pubblica italiana è non solo la sua qualità ma anche la sua (poca) quantità. Se si toglie quel che dipende dal passato e su cui non si può intervenire se non in modo marginale – interessi e pensioni in …
Serve più spesa pubblica ? Persino Keynes si porrebbe qualche domanda
di Matteo Corsini da L’Indipendenza
“Il dramma della spesa pubblica italiana è non solo la sua qualità ma anche la sua (poca) quantità. Se si toglie quel che dipende dal passato e su cui non si può intervenire se non in modo marginale – interessi e pensioni in essere – la spesa pubblica italiana, in quota al Pil, è la più bassa in Europa (mi stupisce sempre il numero di quelli che sono convinti del contrario). E in particolare è la più bassa dell’Eurozona (dopo la Slovacchia) la spesa per le misure attive (come la formazione) di sostegno al mercato del lavoro”.
Non è la prima volta che Fabrizio Galimberti sostiene che la spesa pubblica in Italia sia quantitativamente scarsa. E’ tipico di coloro che considerano lo Stato la soluzione e non il problema condurre analisi comparate caratterizzate da un evidente strabismo. La tecnica consiste nel prendere in considerazione le principali voci di spesa che ogni Stato sostiene, rapportarle al Pil, quindi confrontare le incidenze delle singole voci nei diversi Paesi. Dopodiché diventa quasi automatico, sempre seguendo l’approccio in questione, considerare migliori coloro che, in rapporto al Pil, spendono più soldi per questo o quel servizio, e tutto ciò che ruota attorno a istruzione e cultura in senso lato viene spesso indicato al primo posto.
Non starò in questa sede a ripetere i motivi per cui ritengo che non dovrebbe essere lo Stato a occuparsi, per di più sovente in monopolio, della fornitura di determinati servizi. Vorrei invece concentrarmi sul punto di vista di Galimberti, il cui stupore mi pare del tutto fuori luogo. Ciò che i contribuenti sono costretti a finanziare con le tasse che pagano non sono solo certe voci di spesa, bensì l’intera spesa pubblica (in realtà una parte, come noto, viene finanziata aumentando il debito pubblico). La stessa storia che, al netto di interessi e pensioni, la spesa sia bassa, mi pare discutibile. Sarà magari più bassa che altrove, ma nulla dice che una maggiore spesa sia indice di migliore servizio. Dovrebbe, anzi, essere piuttosto evidente, non solo guardando all’esperienza italiana, che la spesa pubblica, anche dove fatta in modo meno parassitario che in Italia, tende a produrre uno Stato elefantiaco e a gonfiare il debito. La maggior parte dei sistemi europei di welfare presentano connotati di insostenibilità (tipici, peraltro, di ogni schema Ponzi); le differenze principali consistono nel fatto che da alcune parti i nodi sono già venuti al pettine, mentre da altre lo verranno nei prossimi decenni a causa delle passività implicite, ad esempio nei sistemi pensionistici.
Invece di prendere atto che sarebbe ora di ridurre radicalmente e strutturalmente la spesa, se non per convinzione etica quanto meno per calcolo economico, gli statalisti continuano a vedere nella spesa pubblica il carburante per far ripartire l’economia. Forse persino Keynes, arrivati a questo punto, prenderebbe atto del fatto che qualcosa non è andato per il verso giusto, quanto meno perché è evidente che alle fasi di espansione della spesa pubblica “per rilanciare l’economia” non seguono mai fasi di contrazione della spesa stessa quando l’economia è ripartita (tra l’altro, sarebbe bastato considerare chi decide come e quanto spendere per rendersi conto a priori che non avrebbe funzionato). Galimberti, però, pare non essersene accorto.
Per questa news si ringrazia:
Roberto Gorini … le regole del denaro
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