Facebook, le aziende possono controllare i dipendenti

Dipendente licenziato perché chattava su Facebook, la Cassazione: le aziende possono creare un falso profilo per controllare i lavoratori

Facebook ha condizionato le nostre vite, inutile negarlo, non possiamo fare a meno di controllare le notifiche e, soprattutto, di “spiare” i profili dei nostri amici per vedere cosa fanno o dove vanno. Che sia attraverso uno smartphone o un computer, ogni momento è buono per dare uno sguardo alla home page del social network più utilizzato. La possibilità di essere connessi 24 ore su 24 di certo non aiuta a ridurre questa dipendenza. Anche perché va tenuto conto che le opzioni per la connessione sui dispositivi mobili o per la propria abitazione ormai sono moltissime, basta collegarsi a portali come il comparatore SuperMoney con il suo strumento di confronto tra offerte adsl per scegliere la più vantaggiosa in materia di consumi e prestazioni.

Facebook può rivelarsi un’arma a doppio taglio, soprattutto per coloro che non sanno resistere e si collegano anche durante l’orario di lavoro. La sentenza del 27 maggio n. 10955 della Cassazione ha stabilito che le imprese possono ricorrere ad un falso profilo per spiare i dipendenti, ma solo per controllare che i loro comportamenti non ledano l’azienda.

Con un falso profilo Facebook le aziende possono spiare i lavoratori

La sentenza stabilisce che i dipendenti possono essere spiati su Facebook dai propri datori di lavoro attraverso la creazione di un falso profilo. Il via libera a questo tipo di attività però non è generalizzata, in quanto si tratta di un controllo “occulto”, ottenuto attraverso un finto account Facebook. “E’ ammesso per riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale” e non per controllare “l’attività lavorativa propriamente detta”, si legge nella sentenza.

Ecco perché secondo la Suprema Corte non si può affermare che la creazione di un falso profilo Facebook costituisca, di per sé, una violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, “attendendo ad una mera modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore, non invasiva né induttiva all’infrazione”. Il vostro capo può sì spiarvi su Facebook, ma solo per controllare che non rechiate danno all’azienda, e non per farsi spudoratamente i fatti vostri.

Il caso esaminato dalla Cassazione

Un operaio è stato licenziato dal proprio datore di lavoro perché sorpreso lontano da un macchinario mentre utilizzava Facebook. Nell’agosto 2012, l’uomo si era già allontanato dalla postazione per una telefonata privata di 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire su una pressa bloccata. Nello stesso giorno poi, nel suo armadietto aziendale era stato trovato un dispositivo mobile acceso e connesso con la rete elettrica, mentre nei giorni successivi, in orario di lavoro, era stato colto mentre chattava su Facebook.

L’operaio ha fatto ricorso in Tribunale per ottenere l’annullamento del licenziamento. Il giudice ha però disposto che il rapporto di lavoro fosse risolto e ha condannato la società datrice di lavoro a risarcire al lavoratore una somma pari a ventidue mensilità dell’ultima retribuzione. Il dipendente ha poi reclamato la sentenza davanti alla Corte D’appello, la quale ha stabilito che: l’accertamento della società, attraverso la creazione di un falso profilo, delle conversazioni via internet intrattenute dal dipendente con il suo cellulare non costituisce violazione dell’articolo 4 della legge n. 300/1970.

Mea culpa del dipendente

Oltretutto, connettendosi a Facebook da cellulare, l’operaio ha permesso che il sistema di rilevazione satellitare del proprio dispositivo lo localizzasse, quindi non si può accusare l’azienda di una violazione dello Statuto dei lavoratori. La Corte non solo ha rifiutato l’impugnativa del licenziamento, ma ha anche condannato il dipendente a restituire all’azienda la somma ricevuta in esecuzione della sentenza impugnata.