Del danno subito dalla magistratura, e quindi della opportunità di rifare il processo e costituire una commissione parlamentare di inchiesta…

Del danno subito dalla magistratura, e quindi della opportunità di rifare il processo e costituire una commissione parlamentare di inchiesta…

Marra.it

dato che l’infelice formula sfortunatamente usata dal GIP di Salerno nel non rinviare a giudizio il mio PM Arcibaldo Miller per gli sconvolgenti delitti contestatigli è tecnicamente assimilabile a quella in virtù della quale, in un adulterio per qualche motivo penalmente rilevante, sia pacifico che i due trascorrevano ore ed ore stesi l’uno sull’altro ogni volta che potevano, ma, essendo sempre rimasti sotto la coperta, che pure andava su e giù per la spinta di un forte movimento ondulatorio, il GIP non ritenga il coito sufficientemente provato da poter rinviare a giudizio per il prosieguo dal momento che la telecamera piazzata dal marito non ha mai filmato il pene dell’amante mentre si crogiolava nella vagina dell’amata.

Del Libro bianco e del perché do ora del lei a Cordova. Del fatto che l’impegno dei sette otto isolatissimi magistrati napoletani e salernitani nei miei confronti è dovuto al “Complesso di Santippe”, sicché vanno compresi. Dei miei due processi per “calunnia” ed “appropriazione indebita di quanto dovutomi”.

Dell’incontro ad Hammamet con l’amico Craxi. Della revisione del processo al PSI e del suo rilancio, data l’anomalia italiana di non avere un grande partito socialista. Della necessità di non spaventarsi ogni volta che uno dei troppo noti PM fa un peto.

Solo perché era pomeriggio inoltrato e non sapevo dove trovarlo non andai a chiedere di persona spiegazioni a Cordova quando, nel settembre 97, con la sua firma bene in vista, la versione integrale della mia vacua ma reboante richiesta di rinvio a giudizio fu inviata a tutti i possibili mezzi di informazione scatenandomeli addosso.

Poi un responsabile della RAI mi convinse che era una normale prassi della Procura, sicché un po’ mi calmai.

Inutile dire, quindi, perché non potrò più sentire per Cordova quella cordialità che mi indusse una volta a scrivergli una “lettera” dandogli del tu da quando nel Libro bianco ho letto gli ironici complimenti della Camera Penale e del Sindacato Forense per l’attuazione – finalmente – da parte sua e della sua procura della obbligatorietà del riserbo istruttorio in relazione alla vicenda Miller.

Miller che è ora PM nel mio processo per “appropriazione indebita di quanto dovutomi“. Cosa casuale, ma che, essendo notoriamente considerato Miller l’uomo di Cordova, sarà letta dai maliziosi come un segnale di Cordova contro di me, reo di avere pubblicato il Libro bianco. Segnale rafforzato dal fatto, sempre casuale, che l’appello contro l’archiviazione da parte del GIP Canonico di tutta la parte onestamente risibile dell’originario pacchetto delle accuse fattemi, sia firmato da Ajello, vice di Cordova. Cose tutte aggravate dalle parallele accuse di calunnia di quella stessa giustizia penale salernitana che ha prosciolto Miller.

D’altro canto lo sforzo nei miei confronti dei sette otto isolatissimi magistrati fra Napoli e Salerno ha il suo fulcro psicologico nel “complesso di Santippe”. Quel complesso che la non certo dotta Santippe aveva nei confronti della sapienza di Socrate, e che costituirà la vera causa tanto della sua condanna a morte che della sua resurrezione culturale, così come della eterna esecrazione per l’ignoranza quando pretende di processare la cultura.

Insomma una miscela di odio / amore che la troppa ignoranza ed invidia possono rendere perniciosissima per chi ne è oggetto, ma che sempre e soprattutto fa soffrire al punto da renderlo capace di ogni bassezza chi la prova, sicché bisogna compatirlo.

Comunque sia, devo preliminarmente deprecare l’estrapolazione dai miei documenti di pezzetti da censurare penalmente perché questo sistema facilita la mistificazione delle singole espressioni e consente a chi vi ha interesse di sottrarsi all’analisi complessiva che, quale deputato, ho il diritto / dovere (art. 68 della C.) di svolgere nell’interesse della società. Perché non lo faccio né per scherzare né per difendermi da chissà che, visto che lo faccio da molto prima che tutto ciò iniziasse.

Resterebbe poi anche da accertare, e ritengo che la maggioranza colta della magistratura si dovrebbe ormai pronunziare, se i miei scritti hanno o no un qualche valore letterario, filosofico o giuridico.

Questoperchéormaianchesolo le 14.000 copie vendute nella or ora iniziata commercializzazione di La civiltà degli “onesti” costituiscono un indizio idoneo a rendere consigliabile questa verifica, poiché se i miei testi avessero anche solo una delle sopra indicate valenze, e questo ne facilitasse una diffusione più ampia, l’aver taciuto metterebbe quella maggioranza al livello dei sette o otto che hanno creduto di poter massacrare quei testi facendoli a pezzetti.

Ma soprattutto, infine, imploro, nell’interesse dei deboli in particolare e della società in generale, i miei giudicanti, e per essi la magistratura tutta, ad accettare l’invocazione di sapere ammettere che ormai costringere o i politici o i letterati o la gente comune ad un linguaggio castigato nei confronti dei giudici significherebbe vietare dei linguaggi rispondenti alla realtà – che è poi la tesi sul linguaggio che ben più ampiamente svolgo nel documento di cui contesto che si possano processare dei pezzetti – e che il solo modo per ottenere che ci si esprima diversamente sui giudici è che essi superino la crisi che li ha travolti.

Di cosa mai potrei insomma pentirmi, anche dopo la più dura delle sentenze, se dovessi essere condannato perché è stato estrapolato da un mio lungo, complesso ed organico documento l’espressione: “è stata fatta su di me una indagine illegale sapendo che era illegale“: in pratica – ferma restando l’erroneità dell’estrapolazione – una cosa da nulla: rose e fiori rispetto a quello che, senza tanti preamboli, e del resto certo non a caso, è sulla bocca di tutti e sulle pagine di tutti i giornali, e che è forse più importante, non che la gente cessi di dire, ma che la magistratura cessi di ispirare.

Per non parlare poi della mia “Appropriazione indebita del dovuto“. Deldovuto“, non perché sia in vena di scherzare, ma perché, essendo ormai troppo palese che le somme di cui mi sarei “appropriato” costituirebbero, quand’anche fosse, solo una parte di quelle dovutemi per le spese delle varie cause in vari gradi che sto seguendo, sicché il processo non potrebbe proseguire, si sta pertanto sussiegosamente vagliando se l’indebitezza dell’appropriazione non possa allora consistere nel modo in cui le avrei prese.

Tesi peraltro a sua volta del tutto infondata, sempre che si abbia delle cose una lettura non pretestuosa, visto che la pretestuosità non conosce limiti e la perfezione è divina.

E’ per questo che trovo grande conforto nel fatto che il mio PM sia Miller. Se infatti Miller è il mio PM significa che è degno di esserlo, ma per concludere in tal senso deve essere stata necessaria, a Salerno, una dose robustissima di comprensione, disponibilità ed apertura, che mi auguro dunque i Salernitani e lo stesso Miller vorranno avere anche con me.

Miller, infatti, come ho appreso dalla lettura della relazione di minoranza del CSM, in un turbine di fatti spaventosi solo a leggerli, è stato processato, fra l’altro, per essersi sostituito senza delega al PM delegato nel processo per la strage di Torre Annunziata ed avere chiesto il proscioglimento di Carmine Alfieri, vertice indiscusso della camorra, che invece ha poi confessato sia di essere il mandante della strage e sia di avere condizionato la giustizia.

E’ bella insomma la sua fiducia nei confronti del buon Alfieri, tanto più che è sicuro che era genuina, come certificato sia dal GIP di Salerno che dal PM, che non l’ha messa in discussione con alcun appello.

E’ pacifico in definitiva, fra le tante cose, che Miller usufruisse persino delle prestazioni di prostitute messe a sua disposizione da spaventosi criminali, così com’è pacifico anche che egli, un PM, fosse in rapporti di durevole e sistematica frequentazione con famiglie agghiaccianti che hanno svolto un’indubbia attività di condizionamento nei confronti di magistrati mediante fatti concreti di illecita intermediazione, ma, secondo quel GIP, non era possibile individuare alcunché di idoneo a ritenere consigliabile neanche la semplice apertura del processo a suo carico per approfondire un po’ meglio se c’era stata corruzione.

Corruzione che inoltre non ho sinceramente capito perché fosse l’unica cosa giuridicamente rilevante, dati i tanti pacifici ma pur inquietanti altri fatti emersi.

Cosa questa rovinosa innanzitutto per Miller, perché non gli è stata data la possibilità di dimostrare in dibattimento la sua palese innocenza, sicché è rimasto, insieme ai suoi sostenitori, sotto il macigno dei terribili ed inevitabili benché ovviamente ingiustificati sospetti dell’opinione pubblica.

Sospetti gravissimi che potrà cancellare solo la seria riapertura su tutti i fronti del processo e la sua celebrazione non a Napoli né a Salerno, oltre – ci si augura – che la costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sui fatti di cui al Libro bianco dei penalisti napoletani, perché sono i più sconvolgenti che si siano mai letti.

E questo in un paese in cui certa magistratura ha fatto orinare sangue a migliaia di persone anche solo con il sovente etereo concorso esterno in associazione mafiosa.

Quanto a me, poi, credo sia inumano pretendere da Cordova, Miller e i non pochi altri protagonisti napoletani e salernitani del Libro bianco di essere sereni nei miei confronti che l’ho pubblicato, sicché il mio processo, che dovrebbe invero essere archiviato, deve almeno essere celebrato altrove.

Nel merito, invece, precisato che la necessità che le Istituzioni operino secondo priorità rende perniciosi i processi insulsi, va premesso che dalle dichiarazioni “rese” non certo spontaneamente dai mie clienti non si può desumere un bel nulla, perché sono confuse, equivoche, sovente errate e talora antitetiche all’assunto accusatorio.

Ciò, credo, anche in conseguenza del troppo zelo e della confusione delle domande dei militi, che lascio immaginare, avendo essi sempre la neve in tasca per i troppi compiti inevasi.

Inoltre, se questi 26 clienti – che nel frattempo continuano tranquillamente a farsi assistere nelle loro svariate controversie – realmente sostenessero di non essere al corrente di dover pagare delle spese o di averle pagate (nei casi in cui, come dalle fatture, le hanno pagate), ci sarebbe da credere che siano forse loro a voler sfruttare questa vicenda per estorcermi la rinunzia a quanto dovutomi per la gran mole di lavoro fatto ed ancora da fare e per i costi sostenuti e che continuo a sostenere per loro.

Ma non è questo il punto. La Banca d’Italia, terzo pignorato, cambiava all’epoca gli assegni oltre due milioni (oggi dieci), che erano la maggioranza, solo in presenza del notaio, di cui dunque dovevano avvalersi sia coloro che non potevano recarsi in banca per problemi fisici, e sia coloro, ed erano la più parte, che non avevano un conto corrente o un modo per cambiare quegli assegni non trasferibili. Fonte questa di continue doglianze e difficoltà, perché occorreva giustamente pagare il notaio.

L’elevato numero dei miei clienti rese in sostanza praticamente necessario il ricorso al sistema delle procure speciali che, non potendo io parlare personalmente con tutti (ma parlare con me non è indispensabile e non è l’unico modo per sapere le cose), formulai in modo che, proprio al momento della sottoscrizione, il cliente, senza bisogno dei chiarimenti di nessuno, apprendeva con certezza, dal testo stesso che sottoscriveva, tutti gli estremi del titolo che mi delegava ad incassare, ovvero il numero dell’ordinanza, la data, il giudice, il suo ufficio, nonché la filiale della Banca d’Italia che avrebbe pagato.

Titoli ed atti dai quali risultava l’importo dovutogli, che non era indicato in procura perché la banca – che aveva informalmente, e del resto implicitamente, approvato il testo delle procure – rifaceva i calcoli autonomamente, e talora, o per errori, o per diversità di interpretazione, potevano esservi difformità sul dovuto.

Titoli ed atti che rimanevano in mano ai clienti per alcune settimane prima che riscuotessero, sicché avevano il tempo di fare tutte le verifiche di questo mondo, per cui, quand’anche nessuno gli avesse detto niente sarebbe stato irrilevante, laddove era ovviamente un continuo spolmonamento a ripetere settimanalmente sempre le stesse cose.

Né avrebbe rilevanza neanche che io non gli mettessi a disposizione gli atti o i titoli, perché richiedere, ritirare o rilasciare copie di atti o titoli è un’attività per la quale sono previsti per l’avvocato dei diritti che non sarei mai riuscito a farmi pagare, ma che mi competevano, sicché non è dato capire nemmeno perché avrei dovuto obbligatoriamente rilasciarli io – che comunque li rilasciavo – quando avrebbero potuto farseli rilasciare gratuitamente dai competenti enti ed uffici.

E veniamo ora alla mia visita a Craxi, dinanzi al quale devo innanzitutto dire di aver provato – come italiano – un certo disagio.

Nonostante non faccia certo parte di quegli italiani “onesti”, del cui spaventoso cinismo, disonestà intellettuale ed ipocrisia ho orrore, mi arrecava infatti disagio l’essere pur tuttavia materialmente un cittadino di quell’Italia che, per eludere il processo politico al quale Craxi si rese disponibile con il suo ben noto discorso in Parlamento, si rifugiò nei processi sommari in tribunale: alibi della “rivoluzione per non cambiare” ancora in corso.

Un uomo che, secondo me (i soldi, specie quando sono molti, hanno una visibilità ben difficile da mascherare), non ha un bel nulla, nonostante, in considerazione del suo ruolo, possa essere stato facile immaginarlo o anche attaccarlo come titolare di chissà quali fortune.

Temi rispetto ai quali non credo sia ragionevole sperare che degli argomenti troppo sottili siano sufficienti per indurre la società o la magistratura ad una necessaria revisione dei fatti, perché vi sono cose nelle quali la verità può emergere solo da un confronto chiaro, deciso ed incisivo il cui presupposto è però nella maturazione di una forma di coraggio politico sufficiente a non dover fuggire ogni volta che un dei nostri famosi PM fa un peto.

Ciò ha causato infatti un enorme problema. In Italia, cioè, in controtendenza a tutta l’Europa, non esiste un partito socialista adeguato a quella domanda libertaria di laicità alla quale esso risponde.

Destra e sinistra sono infatti tradizionalmente portatrici di due diversi dogmatismi dei quali non si vuole qui fare alcuna critica, ma che non corrispondono alla posizione di tutti i cittadini, sicché la parte non dogmatica o in senso religioso o in senso ideologico non potrà che di nuovo identificarsi con i socialisti.

Perché avvenga occorre solo aprire questo confronto. La mistificazione dei fatti è stata così clamorosa che ciò ora tornerà a favore.

Alfonso Luigi Marra

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