Circa il fatto che è falso che i lavoratori dipendenti paghino le tasse e circa il fatto che le aliquote fiscali sono tali che il cittadino può generalmente invocare limpossibilità di non evadere e di non commettere i reati connessi

e, sempre, la mancanza di corrispettivi che le giustifichino.

Circa la gravità del resistere alla delegittimazione del sistema ai fini della sua rilegittimazione e circa le cause dell’invincibilità della mafia, camorra eccetera.

Diceva Sainte-Beuve: “Non tutti i delinquenti sono moralisti, ma non ho mai conosciuto un moralista che non fosse un delinquente”.

Una premessa questa necessaria per richiamare ciascuno alle proprie responsabilità. E veniamo a noi.

Innanzitutto va sfatato il mito secondo il quale i lavoratori dipendenti pagano le tasse e i contributi.

Infatti, se da un lato le somme astrattamente “trattenute” ai lavoratori non sono mai state destinate a loro, dall’altro è il datore di lavoro che ogni mese fa i conti con il problema di pagarle.

Esse dunque si configurano come imposte indirette a suo carico.

Ciò anche per i dipendenti pubblici, i cui tributi e contributi, ed anche retribuzioni, vengono pagati con le tasse sul reddito dei titolari di partita IVA, oltre che con le imposte indirette di tutti. E ciò premesso passiamo all'”evasione”.

Quando l’attuale sistema fiscale fu concepito le tasse sui redditi erano un optional al quale nessuno faceva caso, per cui a nessuno dava fastidio che le aliquote fossero fissate pomposamente nelle misure che sappiamo, e lo Stato si reggeva essenzialmente sulle imposte indirette.

Quelle cioè sulla benzina, i bolli, l’aria che respiriamo, i tributi e contributi dei lavoratori pagati dai datori eccetera.

Imposte svariatissime che crebbero negli anni per alimentare l’immane apparato statuale, caratterizzato da un lavoro subordinato mal remunerato ma scadentissimo.

Il che costituisce il vero problema dell’Italia di oggi, ovvero la cultura dell’odio per il lavoro nonché della tendenza a radicarsi sempre più nelle posizioni da seduti specializzandosi sempre meglio nell’accollare la propria vita ad altri.

Altri che dovrebbero continuare a finanziarla con le loro tasse: una cosa che -per quanto si adoperi la disinteressatissima stampa e televisione di regime -difficilmente potrà continuare a costituire la sola ragione dei loro sforzi, visto ciò che ricevono in cambio dalle Istituzioni.

In tutto ciò, comunque, crescendo la fame di denaro dell’apparato, cresce anche il clamore contro gli “evasori”, “burberamente” chiamati a pagare aliquote che raggiungono complessivamente il 60% circa, ma che, se si aggiungono le imposte indirette ed i tributi e contributi pagati per i dipendenti, non vorrei che superassero di molto il 100%.

E ciò su dei “redditi” sempre più esigui che si consumano prima di essere prodotti a causa della tassazione indiretta e degli infiniti costi aggiunti generati dalle sue anomalie.

Cose che – nonostante danneggino anche i lavoratori perché innescano la spirale dell’aumento dei prezzi che rende bassi gli stipendi – troppi cercano disperatamente di non vedere perché temono di perdere nella revisione del sistema e nella diminuzione significativa delle aliquote la fonte del loro reddito, sicché si scagliano contro gli “evasori” per costringerli con il terrore a continuare a finanziarli.

Senonché, se questo tipo di “opposizione” vincesse troppo attraverso i suoi “processi”, ucciderebbe “il bambino” dello sviluppo, e non avrebbe poi più nulla di cui nutrirsi, perché non sa intraprendere, tant’è che se lo avesse saputo lo avrebbe certo già fatto, ed inoltre quel pochissimo che il suo immenso apparato è riuscito a produrre lo ha prodotto come gli altri, attraverso le tangenti e gli appoggi “politici”.

Con il risultato che resta il vituperato popolo dei detentori di partita IVA a dover realizzare lo sforzo di una riconversione difficilissima, ma indispensabile per tutti. Un “popolo” al quale non intendo davvero fare troppi complimenti, ma che d’altra parte avrebbe avuto diritto ad un opposizione costruttiva che non c’è mai stata, perché l’opposizione ha lottato solo per diventare essa stessa potere senza peraltro avere le caratteristiche per esserlo.

Cosa questa meno grave di quella che sta per accadere ora, perché ora l’opposizione sta per scomparire nell’abbraccio col centro mentre nessuno si rende conto della gravità delle conseguenze del perdere anche la speranza di un’opposizione che difenda, ma in maniera adeguata, l’ambiente, la collettività ed i lavoratori dall’imprenditoria che, abbandonata a se stessa, questa volta distruggerebbe il mondo per davvero.

E veniamo alla mafia, camorra eccetera. La cultura occidentale è nata a Roma, nell’anno zero, dalla confluenza dell’aristocrazismo naturalistico greco pagano e del concettualesimo ebraico: la prima vera cultura di massa.

Da quel momento, in due millenni, ha colonizzato il mondo intero, ma non è riuscita a colonizzare l’Italia meridionale che, da Mondragone in giù, benché contaminata dall’occidentalesimo, è rimasta aristocratica, naturalistica e pagana.

Un’antichissima dissidenza ed un fenomeno culturale di importanza eccezionale perché proprio dal sud dell’Italia nascerà ora la cultura post-occidentale, che diverrà poi la cultura del pianeta.

Questo stupendo fenomeno culturale -mediante una continua strumentalizzazione dei delitti che il malessere dovuto allo scontro non può che comportare -non è né più e né meno che la cosa che l’occidentalesimo, ora divenuto regime, si adopera con ogni mezzo a colorare come “mafia”, “camorra” eccetera allo scopo di schiacciarlo mediante la criminalizzazione del Sud.

Il che significa anche che non si riuscirà mai a reprimere gli innumerevoli delitti provocati dalla vasta degenerazione di questa giusta dissidenza fin quando non si accetterà che quella criminalità, pur orribile, sottintende un fondato disprezzo per la ben più grave delinquenzialità in forma di moralismo insita nel regime, i cui gesti abominevoli investono univocamente l’intera società così come la televisione, suo fondamentale strumento di perfida omologazione.

Senza contare che le pratiche delinquenziali più gravi, quelle attuali, non sono che il modo in cui la delinquenza meridionale esercita, dalla sua angolazione, i “buoni esempi” appresi dalla depravazione istituzionale.

Quella depravazione che, ad esempio, ha fatto sì che, in un meccanismo circolare di “legittimi” corrispettivi, venisse eletto a principio morale il dare alle industrie la possibilità di “prosperare” producendo beni che al 70% servono solo a distruggere inutilmente la carne viva delle risorse, e che causano poi la necessità dell’annientamento dell’intelligenza della società per renderla insensata quanto occorre perché accetti di consumarli.

Una logica che finora ha solo distrutto il tessuto di ogni umanesimo, ma ora sta consumando la possibilità che l’uomo possa continuare a resistere sul pianeta più di una trentina di anni ancora.

Con il risultato che la criminalità -strumentalizzando l’umanesimo del Sud, che queste cose le sa -si sente legittimata ad incrementare sarcasticamente la sua violenza perché le appare poca cosa a fronte del moralismo delle istituzioni che, comodamente, senza nemmeno esporsi alle conseguenze dei loro gesti, continuano a “far finta di nulla” ed a mangiare nei piatti del loro indifferente cinismo.

Ne deriva che la criminalità crescerà quanto più il regime continuerà ad arroccarsi nel suo moralismo per eludere la sua delegittimazione e sottrarsi alle regole di una diversa rilegittimazione.

In sostanza la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Basilicata e la Campania sono ovviamente del tutto scettiche verso il grottesco perbenismo del regime, al quale pur sono costrette ad abbozzare, ed il loro malessere, quello dal quale sgorga la criminalità, è solo la pena alla quale il regime le ha condannate per reprimerne la cultura in quanto antitetica ai suoi interessi, alla sua orrenda concezione dell’essere, alla sua inqualificabile concezione di industrializzazione ed in definitiva al suo consumismo: ovvero a quella cultura rivolta a subordinare l’uomo alle logiche “produttive”, anziché le logiche produttive all’uomo.

D’altro canto il moralismo di regime ha un problema non facilmente superabile: è così brutto da non avere la forza di fare una rivoluzione che inizi con il gesto di guardarsi dentro da parte di ogni singolo individuo.

Si osservi infatti – cito dall’introduzione di “La storia di Aids” – che: Non è mai stato il desiderio di verità a causare le rivoluzioni, ma solo è sempre la volontà di sostituire la “verità” di una fascia sociale alla “verità” di un’altra.

Questo processo, attraverso il susseguirsi di livelli di “verità” funzionali alle esigenze di fasce sociali sempre più vaste, ha condotto infine all’affermazione della democrazia, sia pure incompiuta.

Ora però siamo ad una fase in cui la collettività, nel suo irrefrenabile moto verso lo sviluppo, non ha più avversari a scapito dei quali combattere.

Per il momento riesce ancora ad eludere il confronto con le proprie responsabilità riversandole sulla serie retorica dei cattivi storici, su sempre nuovi capri espiatori, su intere classi di colpevoli; ma si avvicina il momento in cui dovrà rivolgere l’analisi contro se stessa infrangendo così la composita barriera delle finzioni collettive nel folto delle quali si cela il massimo dei suoi vizi, la cosa dalla quale tutto il male discende: il disimpegno: quel disimpegno intorno al quale ha sempre ruotato la cultura di massa in generale e la cultura occidentale in particolare.

Fra non molto, quando questo processo, già evidentissimo, sarà divenuto innegabile, tutto sfocerà nel “pentimento” e nella “commozione” collettiva, e quindi -sempre che la mente collettiva non escogiti qualche nuovo espediente per eludere nella sostanza quello che affermerà nella forma -nella formulazione di una vera morale: una morale del tutto irreligiosa.

Questo perché la mente collettiva sa bene di avere dovuto inventare questo o quel Dio solo e sempre per garantire gli equilibri sociali via via vigenti, ma sa anche che con questo metodo non può più risolvere i problemi della modernità.

E’ tecnicamente impossibile, infatti, che una mente nella quale siano presenti ed operino idee illogiche, sciocche, insensate, come l’idea che possa esistere un demonio, l’immacolata concezione i miracoli, possa poi in altre cose essere coerente, ragionevole, giusta e così via.

Comunque, quando questa morale si affermerà, in quel momento, un momento credo vicino, inizierà, non la seconda repubblica, bensì l’era dell’intelligenza, che succederà all’era della furberia, che dura dal primo apparire dell’uomo sulla terra.

Questo libro -che fra i miei è quello che amo di meno, e che sono stato costretto a scrivere solo in quanto propedeutico, del resto come gli altri, a “La storia di Giovanni e Margherita” -è costituito dai documenti che, nelle varie occasioni, ho pubblicato per colpire questo o quel punto strategico della mente collettiva e causare che questo processo, iniziato nel 1985, andasse avanti.

Senza fare commenti colgo però l’occasione per far notare che, finora, nulla di quanto è accaduto in questi anni è mai stato conseguente ad un gesto di buona volontà: dal crollo della cultura degli armamenti al crollo del muro di Berlino, dalla fine dell’apartheid ai processi penali, tutto è stato solo ed esclusivamente causato dalla rottura degli abominevoli equilibri vigenti, la cui crisi ha man mano causato i cambiamenti ai quali abbiamo assistito.

Alfonso Luigi Marra

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